Michele Liparesi • Aprile 1-20.2021
Disorientamento. È la prima impressione che suggerisce l’ambiente di RoomScape, a metà tra un ufficio abbandonato e il paesaggio di un pianeta sconosciuto. La stessa sensazione si prova a volte in sogno, oppure quando apriamo una porta sbagliata – una di quelle tutte identiche – all’interno di un edificio amministrativo e ci affacciamo in un luogo dove la nostra presenza non è prevista. Abbiamo di fronte una stanza banale, spoglia, eppure sappiamo che sta succedendo qualcosa.
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RoomScape di Michele Liparesi (Bologna 1986) ci offre in principio un’esperienza simile. L’ambiente ricorda un ufficio anonimo, semibuio. I macchinari bianchi – per un uso difficilmente identificabile– emanano una luce sintetica e costante; sono disposti senza un apparente ordine ma nell’insieme costituiscono un paesaggio o, più precisamente, uno scheletro di paesaggio: un’urbe di forme essenziali, vagamente familiari. RoomScape si distingue per un’impostazione minimalista, rinuncia all’espansività plastica costruendo tuttavia un luogo quasi nostalgico.
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La sua nostalgia è però equivoca, ostile. A differenza di Anaktisi, lavoro precedente di Liparesi, in cui il rapporto tra lo spazio e l’osservatore è la chiave di lettura dell’architettura criptica, nell’attraversare RoomScape ci rendiamo conto che non c’è una collocazione contemplata per i nostri corpi, nessuna relazione da instaurare. Lo scenario non appartiene all’universo delle cose vive, ma a quello delle forme vive.
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Le strutture architettoniche si mostrano apertamente, rimanendo tuttavia impenetrabili alla nostra percezione. Colme di una luce artificiale, pazientemente attendono l’inevitabile arrivo della loro era.
Il loro futuro ci ha già superati.
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Il progetto: Michele Liparesi. Testo: Yulia Tikhomirova. Curatela: TIST