Marco Paltrinieri / Mirko Smerdel • Novembre 1-20.2021
“E dov’è questo posto?”
“E’ questo il punto: da nessuna parte. Non si può dire che si trovi in un qualche luogo in senso geografico. La Mongolia Interna non si chiama così perché sta dentro la Mongolia. Si trova dentro colui che vede il vuoto, anche se in questo caso la parola “dentro” non è la più appropriata. E non ha niente a che fare neanche con la Mongolia, il nome è solo una consuetudine. Sarebbe un’impresa sciocca tentare di descrivergliela. Mi creda sulla parola almeno su questo: vale davvero la pena di cercare tutta la vita di raggiungerla. E nella vita non c’è niente di meglio che ritrovarsi lì.”
“Ma come si fa a vedere il vuoto?”
“Guardi sé stesso!” – disse il Barone.
(da “Il mignolo di Buddha” Viktor Pelevin)
Un paesaggio esiste solo quando lo guardiamo. O forse, esiste proprio perché lo guardiamo noi?
“Un paesaggio è l’aspetto di un luogo come appare quando lo si abbraccia con lo sguardo” – secondo il vocabolario Garzanti. È “parte di territorio che si abbraccia con lo sguardo da un punto determinato”, – secondo La Treccani.
Perciò, affinché esista una veduta ci vogliono: uno sguardo, un soggetto che lo indirizza e un punto da cui partire per esercitare questa intenza. Non importa a COSA punta lo sguardo: qualsiasi cosa sarà un paesaggio.
Ora facciamo un esercizio semplice e chiudiamo gli occhi. Cosa rimane del panorama?
Secondo Marco Paltrinieri, l’assenza di stimoli visivi dà al paesaggio una possibilità. Il suo lavoro Untitled (un resoconto) è una composizione per voce narrante e musica elettronica, che incitano alla partenza verso un territorio dove lo sguardo non può arrivare.
Il suo personaggio fugge dalla superficie scenografica del reale e trova rifugio in un universo interiore, che diviene il suo panorama personale, in una sorta di “migrazione interna” la cui lettura resta ambigua tra consapevolezza e follia.
In occasione della mostra Inner M. la composizione di Paltrinieri prende la forma di un audio installazione.
Ciò che qui conta è l’esperienza stessa dell’ascolto, da intendersi come gesto consapevole e soprattutto come apertura verso un possibile viaggio al centro di sé. Questo fenomeno nel gergo psicologico viene anche chiamato “Mongolia Interna”, metafora di uno spazio intimo della psiche dove rifugiarsi dal mondo esterno, un deserto personale.
Ma come potrebbe essere raccontato visivamente un territorio dove lo sguardo non può accedere? Come rappresentare lo scenario di questo deserto intimo?
Decostruendo il gesto stesso della rappresentazione, suggerisce Mirko Smerdel, nella serie di disegni che chiama proprio Mongolia Interna.
Il lavoro parte da una raccolta di video personali e di found footage che esplorano i paesaggi naturali e artificiali selezionati sulla base dell’idea di un habitat umano “alla fine dei tempi”. Da questa selezione di video nascono i disegni, realizzati ricalcando a mano le vedute in movimento sul monitor. Questi disegni, una volta digitalizzati, vengono fatti ridisegnare da una macchina a controllo numerico.
Si crea così, un continuo rimando tra il panorama, l’uomo e la macchina attraverso differenti forme di espressione e rappresentazione, con l’intenzione di mostrare gli enormi mutamenti del Pianeta e di quello che abitualmente definiamo come il suo aspetto.
Inner M. accoglie queste due ricerche autonome ma complementari e compenetranti, che insieme esplorano l’universo delle possibilità di decostruzione, non solo della nozione comune del paesaggio, ma anche dell’affidabilità (illusoria) dei mezzi visivi come espressione artistica.
In occasione dell’opening il 1 novembre la composizione di Paltrinieri verrà eseguita dal vivo.
Progetto: Marco Paltrinieri e Mirko Smerdel. Testo: Yulia Tikhomirova. Curatela TIST.
“Vedere il vuoto e descrivere l’invisibile”
Inner M. L’intervista di Mauro Zanchi con Mirko Smerdel in mostra da TIST per